domenica 21 febbraio 2016

Anteprima: Insieme per amore


Salve lettori e buona domenica.
Pronti per una nuova #anteprima? Oggi vi parliamo di un libro che uscirà a fine febbraio e precisamente il 26, data che andrete ad appuntare sul calendario. Vero?
Con questo terzo volume, si conclude (parzialmente) la serie "The club". Pronti a scoprirne di più?

La serie "The club" è composta da:


1- Insieme per gioco (recensione QUI)
2- Insieme per passione
3- Insieme per amore


Trama«Non c’è mai stato un amore come il nostro e mai ci sarà. La nostra è la più grande storia d’amore mai raccontata. I nostri sentimenti sono puri e autentici, noi siamo lo stupore degli dèi».
Jonas Faraday continua a lottare contro i suoi demoni personali, ma non è più solo nella sua battaglia. Accanto a lui ora c’è Sarah e non può rischiare di perderla. Giungerà mai per Jonas il momento della redenzione?





Capitolo 1

Jonas

Non voglio smettere di stringerla, ma loro staccano a forza il mio corpo dal suo. Inciampo all’indietro, gli occhi spalancati. Sposto lo sguardo sulla mia camicia. È impregnata del suo sangue. C’è così tanto sangue. È dappertutto.
“Non c’è polso,” dice uno degli uomini tenendole la mano. “Niente.” Fa un’espressione contrariata. “Diamine, la sua carotide è squarciata. Parliamo di cinture e reggicalze, Cristo.” Scuote la testa.
“Che razza di animale…?” dice l’altro uomo, ma la sua voce si calma, Mi rivolge uno sguardo. “Portalo fuori di qui. Non dovrebbe vedere tutto questo.”
Gli uomini sono vestiti da vigili del fuoco, ma non penso che lo siano, perché non c’è un incendio.
“Il corpo è già freddo. Direi che è morta da quindici, venti minuti buoni, almeno.”
Ti voglio bene, mamma, le ho detto. Ma lei non mi ha risposto. È stata la prima volta in cui lei non mi ha risposto. Quando lo dico, lei mi dovrebbe rispondere, “Ti voglio bene, tesoro, mio prezioso tesoro.”
Ecco quello che dice sempre, proprio così. “Ti voglio bene, tesoro, mio prezioso tesoro.” Perché questa volta non lo ha detto? E perché non mi guarda? Continua semplicemente a fissare fuori dalla finestra. Anch’io guardo fuori dalla finestra. Un’ambulanza è parcheggiata di fronte a casa nostra. Le sirene sono accese, ma non fanno alcun rumore.
Sento il suono di sirene in lontananza. Si stanno avvicinando. Di solito mi piace ascoltare le sirene, specialmente quelle che si avvicinano. Mi piace quando una volante della polizia insegue un criminale o quando un grosso camion dei pompieri sorpassa veloce la nostra auto. Mamma dice che quando in auto senti una sirena, devi spostarti ai margini della strada. “Così possono salvare la situazione!” canticchia ogni volte che passano. Ma non oggi.
Oggi non mi piace sentire le sirene.
Mi sposto sull’angolo della stanza. Mi siedo sul pavimento, oscillando avanti e indietro. Le ho detto che le voglio bene, ma non mi la risposto. E da adesso non mi guarderà nemmeno. Guarda semplicemente attraverso la finestra. Non sbatte nemmeno le palpebre. È arrabbiata con me per non averla salvata.
“È tua madre, piccolo?” dice il primo uomo. Si piega verso di me.
La mia voce non funziona.
È la mia mamma.“C’era qualcun altro in casa oltre a voi due?”
Volevo stare da solo con lei. La volevo tutta per me. Volevo che non stesse più male. Sono stato un bambino cattivo.“Siamo qui per aiutarti, figliolo. Non ti faremo del male. Siamo paramedici. La polizia sta arrivando.”
Deglutisco con fatica.
Sono rimasto nell’armadio perché pensavo di poter usare la magia nelle mie mani contro il grosso uomo, ma poi la magia non ha funzionato. Sono stato cattivo. “Come ti chiami, figliolo?” chiede l’altro uomo.
“Portalo via di qui,” dice di nuovo il primo signore. “Non dovrebbe vedere niente di tutto questo.”
L’uomo piegato verso di me fa cenno all’altro di andarsene. “Sei sporco di sangue, piccolo,” dice dolcemente. “Devo assicurarmi che non sia tuo. Qualcuno ti ha fatto del male?”
Mi tende la mano, ma io sobbalzo e corro verso di lei. Mi lancio sopra il suo corpo, fregandomene di sporcarmi di sangue ancora di più. La stringo più che posso. Non possono obbligarmi a lasciarla. Forse la magia delle mie mano ricomincerà a funzionare se mi impegno tanto. Forse prima non mi sono impegnato abbastanza. Forse smetterà di fissare fuori dalla finestra, se la mia magia ricomincia a funzionare. Forse se dico, “Ti voglio bene, Mamma,” tante volte, la magia funzionerà di nuovo e lei sbatterà finalmente le palpebre e dirà, “Ti voglio bene anch’io, tesoro, mio prezioso tesoro.”

Sono steso sul mio letto, sopra le lenzuola a tema baseball. Josh è steso sul suo letto che si trova vicino al mio, sopra le lenzuola a tema football. Josh di solito va in crisi se non può avere le lenzuola del baseball, ma questa volta me ha lasciate senza un buffo. “Puoi avere le lenzuola del baseball tutte le notti, se vuoi,” disse Josh. “Da ora in poi, sceglierai sempre tu per primo.”
Una settimana fa sarei stato felice di quello che ha detto sulle lenzuola. Ma ora non mi interessa. Non mi interessa di niente. Non mi interessa nemmeno più di parlare. È passata una settimana da quando mamma se n’è andata per sempre, e per tutto il tempo non ho mai detto una parola. Le ultime parole che sono uscite dalla mia bocca sono state, “Ti voglio bene, mamma” mentre la abbracciavo, la baciavo e la toccavo con le mie mani magiche, che però non lo sono più, e ho deciso che quelle sarebbero state le ultimissime parole ad uscire dalla mia bocca.
Anche quando il poliziotto mi ha chiesto che aspetto avesse l’omone grosso, non ho detto una parola. Anche quando ero fuori dallo studio di papà e l’ho sentito piangere, non ho detto una parola. Anche quando ho sognato l’omone grosso che accoltellava la mamma e poi veniva verso di me, non ho detto una parola. Anche ieri sera, quando papà ci ha raccontato come la polizia ha capito che era stato il fidanzato della sorella di Mariela a fare sì che la mamma se ne andasse per sempre, e quando l’ho sentito parlare con zio William e dire, “Ucciderò quel figlio di puttana,” non ho detto una parola.
Sono seduto sul letto.
Sento la voce di Mariela al piano di sotto, all’entrata. So che si trova lì perché la sua voce rimbomba molto forte, e l’entrata è l’unico posto della casa in cui le voci suonano così grosse e rimbombanti, specialmente una voce calma come quella di Mariela.
Guardo Josh, sta dormendo. Forse dovrei svegliarlo per dirgli di salutare Mariela? Ma no, Mariela è mia. Sono io quello che si siede con lei e con cui chiacchiera mentre ci prepara del cibo venezuelano. Sono io quello che la aiuta a lavare le pentole e la ascolta cantare belle canzoni in spagnolo. Mi piace quando affonda le mani nella lavastoviglie e la sua pelle olivastra ne esce umida e scintillante, simile alla crema al caramello che si mette sul gelato. La pelle di Mariela è così morbida e liscia e bellissima, e qualche volta mentre canta le tocco il braccio con la punta delle dita e le lascio vagare con gli occhi chiusi. E anche i suoi occhi sono belli, del colore delle caramelle mou. Mi piace il modo in cui gli occhi scuri di Mariela luccicano quando mi passa una pentola da asciugare o quando mi canta una delle sue canzoni.
“Señor, por favor!” urla Mariela al piano di sotto.
Salto giù dal letto e mi fiondo fuori dalla stanza. È la prima volta che lascio la mia stanza da quando mamma se n’è andata per sempre. Le mie gambe sono rigide e doloranti. La testa mi fa male. Mi sono ripromesso di non lasciare mai più il mio letto, ma voglio vedere la mia Mariela. Anche se mi ero ripromesso di non lasciare mai più il mio letto, forse potevo creare una nuova regola che mi permettesse di lasciarlo solo per vedere Mariela. Corro giù dalle scale il più velocemente possibile. Non vedo l’ora di sentire la sua voce che mi chiama Jonasito o che mi canta una delle sue belle canzoni.
Ma la voce di papà mi ferma a metà della scala.
“Vai via di qui,” lo sento dire. Sta usando la sua voce cattiva. “O chiamo la polizia.”
No, señor! Por favor,” Mariela piange. “Dios bendiga a la señora. Por favor, déjeme ver a mis bebes. Los quiero.” Mi faccia vedere i bambini. Io li amo.“Sei stata tu a dire a quel figlio di puttana che saremmo andati alla partita di football, potresti averla uccisa tu.”
Mariela piange davvero forte. “No, señor! Ay, Dios mio, señor. No sabía! Lo juro por Dios.” Mariela tenta di parlare un mezzo inglese. “La prego, señor, amo quei bambini, son como mis hijos.” Sono come figli per me. “Señor, por favor. Esta es mi familia.” Questa è la mia famiglia.
“Levati,” urla papà. “Levati dal cazzo.”
Quando la voce di papà è così arrabbiata, specialmente quando urla contro la mamma o Mariela, so che devo starne fuori. Ma non mi interessa. Io voglio vedere la mia Mariela.
Corro giù dalle scale e attraverso l’entrata per saltare tra le sue braccia.
Appena mi vede grida, e mi abbraccia. Mi stringe così forte he non riesco a respirare.
Per la prima volta da quando mamma se n’è andata, parlo. “Te quiero, Mariela.” La mia voce suona rugosa.
Ay, mi hijo,” dice. “Pobrecito, Jonasito. Te quiero.
Volevo che le mie ultimissime parole fossero “Ti voglio bene, mamma”, ma mi rendo conto che quella in spagnolo con Mariela non può essere considerata una vera e propria conversazione anche se le dico che le voglio bene, perché lo spagnolo non è reale. È solo la lingua segreta che io e Mariela usiamo per comunicare, per finta. Nemmeno papà capisce la nostra lingua segreta, e lui è l’uomo più intelligente del mondo, quindi parlare con Mariela, anche dirle che le voglio bene, fintantoché parlo spagnolo non conta come infrazione della regola.
Papà urla contro Mariela e le dice di andarsene.
Afferro la sua gonna. “No me dejes, Mariela.” Non lasciarmi.
Te quiero, Jonasito.” Mariela sta piangendo forte. ““Te quiero siempre, pobrecito bebe.” Ti vorrò sempre bene.
“No me dejes, Mariela.”“Mariela?” È Josh. Deve aver sentito la sua voce ed essersi svegliato. Corre da lei e la abbraccia.
Mariela si mette in ginocchio e lo abbraccia mentre io resto aggrappato alle sue spalle.
Te quiero,” dice a Josh. “Te quiero, bebe.
Josh capisce la lingua segreta di me e Mariela, ma non la parla molto bene. “Ti voglio bene anche io,” dice Josh piangendo.
“È ora che tu te ne vada,” papà urla a Mariela. Prende in mano il telefono. “Chiamo la polizia.”
Mariela prende il viso di Josh tra le mani (il che mi fa un po’ arrabbiare perché vorrei che lo facesse a me) e piange molto forte.
Cuida a su hermanito,” dice a Josh. “Sabes que él es lo sensitivo.” Prenditi cura di tuo fratello. Sai che è quello più sensibile.
“Ok, Mariela,” risponde Josh. “Lo farò.”
Te quiero, Mariela,” dico io, aggrappato alla sua gonna. “No me dejes.” Non lasciarmi. Oh, Jonasito,” dice lei. “Te quiero bebe.
Mariela prova ad abbracciarmi, ma papà la tira via da me e la trascina di fronte alla porta. Imploro papà di lasciare che Mariela stia con me, urlo suo nome, le dico che le voglio bene, piango e piango. Ma indipendentemente da quello che dico o faccio, papà fa andare via la mia Mariela, e non la fa tornare mai più.

Traduzione a cura di 
Valentina Deguidi

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