domenica 8 novembre 2015

Anteprima: Infinito + 1


Buonasera gentili lettori.
Oggi l'anteprima che andiamo a farvi conoscere è forse una delle più attese del nuovo anno. Infatti è una super news che uscirà a febbraio dalla casa editrice Newton Compton e noi non vediamo l'ora di leggere e farvi sapere le nostre impressioni.
Conosciuta nelle terre inglesi con il nome di "Infinity + one" in Italia la traduzione del titolo sarà concordante con il fratellino britannico e sarà "Infinito + 1" scritta dalla penna di Amy Harmon, di cui abbiamo già recensito un suo precedente lavoro "Sei il mio sole anche di notte" (recensione QUI). 

Vi lasciamo ad una piccola trama e alla traduzione, personalissima di AnniDiNuvole, del prologo e dell'inizio del primo capitolo. Buon divertimento. 


Trama: Quando due improbabili alleati diventeranno fuori legge, riusciranno due innamorati a sconfiggere il fato a loro sfavore?
Bonnie Rae Shelby è famosissima, ricca, bellissima. Decisamente famosa. E Bonnie Rae Shelby vuole morire.
Finn Clyde non è nessuno, è a pezzi, è intelligente e impossibilmente cinico. Tutto ciò che desidera è un'occasione.
Una ragazza. Un ragazzo. Un'azione dettata dalla compassione. Una serie di bizzarre circostanze e una scelta: girarsi e andarsene o allungare una mano e rischiare tutto?
Con quella possibilità l'orologio inizia a far muovere le lancette per un ragazzo con un passato e per una ragazza che non vuol affrontare il futuro. Scandenti secondi per un'avventura sconvolgente, ricca di divertimento, di rivelazioni e incomprensioni.
Il mondo è contro di loro, contro due persone così diverse che intraprendono un viaggio che non cambierà solo le loro vite ma per cui dovranno pagarne un prezzo.
Infinito + 1 parla di raggiungere le stelle, la fama e la fortuna. Parla di gabbie luccicanti e barre di ferro. Parla di trovare un amico in un volto sconosciuto e scoprire l'amore in luoghi più strani.


Prologo: l’origine

La televisione era accesa, squillante, sintonizzata su un qualche canale di intrattenimento. La presentatrice sedeva a una scrivania come per apparire più sveglia o per far sembrare il programma più credibile, ma lo spray autoabbronzante e le ciglia finte smontavano sia la scrivania, che la sua espressione seria, e così decise di spegnerla.
Poi vide il suo volto apparire sullo schermo, e lasciò cadere fiaccamente la mano al suo fianco. Fissò la foto di se stesso che sorrideva al viso rovesciato di lei. Il suo braccio le avvolgeva la vita, e una delle mani della ragazza era appoggiata sul suo petto, mentre gli sorrideva a sua volta.
In seguito, l’immagine alla tv si trasformò in una vecchia foto in bianco e nero, e lui la guardò, pietrificato e impotente, mentre la conduttrice del programma cominciava ad esporre il suo caso.
“Bonnie Carter incontrò Clyde Barrow in Texas, nel gennaio del 1930. Era il culmine della Depressione e la gente era povera, disperata, senza speranza, e Bonnie Carter e Clyde Barrow non facevano eccezione. Clyde aveva vent’anni e Bonnie diciannove, ed erano dell’idea che nessuno dei due avesse molto da offrire all’altro. Il primo marito di Bonnie, infatti, era morto da tempo, e Clyde non aveva niente, se non qualche precedente penale e la capacità di sopravvivere, ma nonostante ciò divennero inseparabili. Nei quattro anni successivi, tra permanenze in prigione e una vita di fughe, si sarebbero aperti un sentiero a suon di fuoco nel polveroso Sud, rapinato banche, minimarket e distributori di benzina, ucciso ufficiali di polizia oltre che una manciata di civili, e non si sarebbero mai fermati a lungo in un solo luogo. Un rullino ed una collezione di poesie scritte da Bonnie, trovati in un nascondiglio a Joplin, nel Missouri, hanno dato vita alla leggenda dei due giovani fuorilegge, che si è fatta spazio nel panorama della storia americana e nell’immaginazione di spettatori provenienti da tutto il mondo.
Erano giovani, selvaggi e innamorati, e non avevano riguardi per nessuno, se non l’uno per l’altro.
Fuggivano dalla legge, consapevoli che la loro morte era inevitabile, e nel maggio del 1934 incontrarono il loro destino. Infatti, in seguito ad un’imboscata in una solitaria strada della Louisiana e a centotrenta colpi di pistola diretti alla loro auto, i due amanti caddero insieme, i loro corpi crivellati da proiettili, le loro vite e la frenesia per il crimine concluse. Morti, ma non dimenticati.
Ma la storia si sta ripetendo? Abbiamo anche noi la nostra versione moderna di Bonnie e Clyde? Due amanti in fuga che dietro di sé non lasciano che il caos?
Anche se non identiche, le somiglianze tra le due storie sono degne di nota. E viene da domandarsi se, in questa storia, la colpa non sia, almeno in parte, di così tanta fama e fortuna, ad una così giovane età. Invece della povertà, che faceva da scenario ai Bonnie e Clyde degli anni ’30, questa volta la situazione è diametralmente opposta.
Ma in entrambe le storie abbiamo ragazzi giovani, cresciuti troppo in fretta, esposti molto presto ad una dura realtà e che infine si sono ribellati al sistema.
Si tratta di scene viste e riviste: una carriera promettente, un talento scioccante. E rimaniamo tutti qui fermi, a chiederci: cosa è successo esattamente a Bonnie Rae Shelby?”

Capitolo 1 – Angolo di Depressione

Undici giorni prima.

“Ho sentito che tutti urlano quando cadono, anche se si tratta di un salto.”
La voce proveniva dal nulla, facendo sobbalzare me e sussultare il mio stomaco, come se mi stessi davvero lasciando andare e stessi cadendo nel vuoto, attraverso la nebbia. Non riuscivo a vedere nessuno. La foschia era fitta, il che mi diede l’opportunità di scivolare nel bianco vellutato, senza che nessuno lo sapesse.
Lo spesso strato di nebbia mi stava ingannando, la densità dell’aria mi cullava in un senso di falsa sicurezza, avvolgendomi come se volesse afferrarmi, come se potessi nascondermici anche solo per un po’.
Umida, mi sussurrò che lasciarmi andare sarebbe stato facile, indolore, che una nuvola mi avrebbe semplicemente avvolto, che non sarei caduta. Ma una parte di me voleva cadere. Era quella la ragione per cui mi trovavo lì. E non riuscivo a togliermi dalla testa quella canzone.

“Oh mia cara Minnie Mae, in paradiso, così dicono,
E non ti porteranno mai via da me, mai più.
Sto arrivando, arrivando, arrivando
Grazie agli angeli che hanno spianato il cammino.
E così dico addio alle vecchie coste del Kentucky”

“Scendi da lì”. Sentii nuovamente la voce, eterea. Non avrei saputo dire nemmeno da che direzione provenisse. Era bassa, roca, apparteneva ad un uomo. A giudicare dal timbro si trattava di un uomo anziano, forse dell’età di mio padre. Papà avrebbe provato a dissuadere qualcuno dal lasciarsi cadere dal ponte. Forse lo avrebbe fatto cantando. Sorrisi appena al pensiero, la voce di mio padre dominava i miei primissimi ricordi. Ricca, genuina, che si accordava bene con il vibrato e i gorgheggi che erano diventati la mia firma sonora. All’inizio io cantavo sempre la melodia principale, a papà spettava la parte bassa, da tenore, e la nonna ci aiutava con le note più alte. Cantavamo per ore. Era quello che facevamo, che sapevamo fare. Era quello per cui vivevamo.
Ma io non volevo più vivere per questa ragione.
“Se non scendi tu, salgo io”. Sobbalzai di nuovo. Mi ero dimenticata della voce, me ne ero dimenticata così rapidamente. La mia mente era annebbiata come l’aria attorno a me, come se l’avessi respirata tutta.
Pronunciò la parola “scendi” strascicando le lettere, pareva che avesse detto “fendi”, e non riuscivo a capire da che zona potesse provenire. La mia mente fu preda della confusione per qualche minuto. Boston. Esatto. Mi trovavo a Boston. La notte prima ero stata a New York, e il giorno prima ancora a Philadelphia. Ed era Detroit la città della settimana prima? Provai a ricordare tutte le tappe, tutte le città, ma si confondevano tra loro. Raramente visitavo le città nelle quali capitavo. Un luogo era semplicemente l’estensione di un altro. Improvvisamente fu di fianco a me, cercava di stare in equilibrio sulla ringhiera, le sue braccia si reggevano al cornicione, e imitava la mia postura.
Era alto. Gli presi le misure velocemente, facendo perno sulle mie braccia alzate e avvinghiate alla trave di supporto sopra la mia testa.
Sentii il mio cuore cadere e atterrare con un tonfo nauseante sul fondo dello stomaco, poi rimbalzò; avevo lo stomaco vuoto, niente di nuovo. Mi domandai se l’uomo fosse uno stupratore o un assassino. Poi scrollai le spalle, stanca; se davvero avessi temuto di essere stuprata o ammazzata, avrei potuto semplicemente lasciarmi cadere. Problema risolto.
“I tuoi genitori sanno dove sei?” Ecco di nuovo quella parlata strascicata. Non assomigliava per niente alla voce di mio padre, dopotutto. Papà era nato e cresciuto nelle colline del Tennessee, e in Tennessee non si strascicano le parole. Lasciamo che le nostre lingue si arrotolino attorno alle ‘r’, come attorno a una caramella al limone, prima di rilasciarle.
“Posso chiamare qualcuno per te?” Tentò di nuovo quando non risposi.
Scossi la testa ma continuai a non guardarlo. Mantenni lo sguardo fisso di fronte a me, perso nella nebbia. Mi piaceva il nulla vestito di bianco, mi dava conforto. Volevo avvicinarmici, per questo inizialmente mi ero arrampicata sulla ringhiera.
“Senti ragazzino, non posso lasciarti qui”. Ancora quella pronuncia strana. Ero affascinata dal suo accento, ma continuavo a sperare che se ne andasse.
“Non sono un ragazzino, quindi sì che puoi lasciarmi qui”. Per la prima volta gli rivolsi la parola, notando che io, rispetto a lui, pronunciavo chiaramente tutte le lettere di tutte le parole. Sentii il suo sguardo posarsi su di me, quindi lo guardai a mia volta. Lo osservai per bene.
Indossava un berretto fatto a maglia, portato basso sulla fronte in modo che coprisse le orecchie, come lo portavo io. Faceva freddo fuori. Io avevo rubato il mio ad un agente della scorta, insieme ad una felpa gigante con il cappuccio che qualcuno aveva lasciato in spogliatoio.
Il suo cappello gli stava bene, era suo, non lo aveva rubato, ne ero sicura.
Ciuffi di arruffati capelli biondi spuntavano sotto il berretto, ma le sue sopracciglia erano folte e scure quasi quanto il filato; aveva anche dei tagli neri sopra gli occhi dal colore indecifrabile. Nell’oscurità della nebbia tutto sembrava essere semplicemente di svariate sfumature di grigio. Il suo sguardo era fisso e la bocca leggermente contratta, come se lo avessi sorpreso.
Apparentemente ci eravamo sbagliati entrambi: io non ero un ragazzino e lui non era anziano. Forse aveva soltanto qualche anno più di me, forse.
“No, non sei un ragazzino” disse, e il suo sguardo sorpreso si spostò velocemente sul mio petto per verificare che fossi, effettivamente, una donna.
Alzai le sopracciglia e il mento, pretendendo che lui facesse lo stesso. E lo fece, quasi immediatamente, prima di parlare di nuovo, con la voce misurata e il tono mite.
“Le possibilità sono poche: se cadi, muori. Cadere potrebbe farti sentire meglio, ma atterrare no. L’atterraggio ti farà stare di merda. E se non muori, desidererai di essere morta, e di non esserti lasciata cadere, e griderai in cerca di aiuto. Ma sarà troppo tardi, perché io non ho nessuna intenzione di saltare dietro di te, Texas”.
“Non mi pare di avertelo chiesto, Boston” gli risposi stancamente, senza correggerlo a proposito delle mie origini. Evidentemente tutti quelli che avevano una parlata strascicata venivano dal Texas.
Il suo sguardo si fermò per qualche istante sui miei stivali e poi si spostò sui miei occhi, in modo calcolatore.

“Sappiamo entrambi che non lo farai, quindi smetti di fare tanta scena e scendi di lì. Ti porterò dove vuoi”.

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