Ciao amiche!
Oggi vi parliamo di un libro molto interessante,
pubblicato da Feltrinelli. Devo dire
che è stata proprio una bella sorpresa perché, come potrete vedere, non solo si
tratta di un libro diverso, ma abbiamo anche avuto l’opportunità di
intervistare l’autore.
Quindi, mettetevi comodi comodi e preparatevi a
leggere…
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Titolo: La vita in generale
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Autore: Tito Faraci
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Casa Editrice: Feltrinelli
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Pagine: 208
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Da acquistare sì o no? Il Generale vi conquisterà… e se non lo farà
lui, sarà Zagor!
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Voto: 8
Voto copertina:
“Allora
come va?” chiede poi lei, tanto per dire.
“Come cosa
va?” ribatte lui.
“La vita…
la vita in generale”.
“La mia
vita, in generale, è che vivo. O che sono vivo, come preferisci. Tutto qui.
Eppure non è poco. Anzi, è molto più di quanto la gente normale immagini.
Vivere è già un successo, una soddisfazione. Riuscire a mangiare ogni giorno.
Riuscire a trovare un posto dove dormire, la notte, e svegliarsi tutti interi,
il mattino dopo”.
Mario Castelli è chiamato da tutti il Generale, un
soprannome che gli è stato dato al liceo dal suo amico Seba e che non è mai
riuscito a togliersi, capace di durare nel tempo.
Con piglio sicuro il Generale dirige il suo nuovo
mondo: quello degli invisibili.
È un clochard,
un senzatetto, un barbone.
Vive ancora a Milano, ma nessuno si accorge di
lui. La gente lo guarda senza vedere veramente e all’apparenza sembra
dimenticato da tutti.
Eppure non è così. Una bellissima ragazza bionda,
laureata in economia alla Bocconi, lo sta cercando disperatamente, visitando
ogni rifugio. Dice ai responsabili di essere sua figlia, quando non è così, ma
poco importa. Lei lo vuole ritrovare. Lei lo deve ritrovare. Ha un disperato
bisogno del suo aiuto. Cosa potrebbe volere da un invisibile?
Beh… è qui che ci si sbaglia.
Il Generale non ha sempre fatto parte di quel
mondo: prima anche lui era ben visibile a tutti. Bisogna fare un salto
indietro, tornare negli anni che precedono il boom economico degli anni
Ottanta: Milano non è solo un grande polo della moda, è soprattutto un polo
industriale. È in questo contesto che si muove un giovane Generale, costretto,
dopo la morte del padre, ad abbandonare la Bocconi per l’azienda di famiglia.
Partendo dal basso, ovviamente, e iniziando a conoscere la fabbrica partendo
dai suoi operai per poi raggiungere, un anno dopo, la direzione dell’azienda.
Passo dopo passo. Gradino dopo gradino.
Il Generale ama la sua fabbrica e desidera solo il
meglio e, sapendo di non poter competere con altri in campo finanziario, decide
di assumere il fidato amico Seba, che l’ha supportato durante tutto il percorso
con consigli e chiacchiere. Con il passare degli anni, la sua lungimiranza
viene sempre più riconosciuta fino a che non succede la catastrofe.
La bancarotta. Il divorzio. La prigione.
Il Generale vive per strada, dimenticato da tutti.
Ma non da Rita.
Perché lei ha bisogno di lui: figlia della sua
fidanzatina del liceo, anche lei ha una fabbrica da mandare avanti.
E potrebbe non riuscirci senza l’aiuto del
Generale…
La prima
cosa che si nota del libro è la copertina. Un disegno insolito, ma interessante
che raffigura Rita e il Generale. Concorda con questa scelta o avrebbe
preferito la raffigurazione di una realtà urbana, forse attraverso una foto?
Non avrei potuto scegliere di meglio, è stata
davvero una bellissima sorpresa. È opera di Paolo Baciglieri, collega del mondo
dei fumetti. La copertina è stata realizzata prima che il romanzo fosse finito,
si è basato su una sinossi e sulla conoscenza personale. Prima di scrivere la
scena e ha condizionato, scrivere la scena… è venuto un po’ il contrario. Di
solito prima l’autore scrive il romanzo, poi l’addetto alla copertina sceglie
di raffigurare una scena che gli è rimasta impressa. Invece in questo caso è
avvenuto l’opposto e mi ha aiutato a scrivere quella scena, è stato di
grandissimo aiuto. Non avrebbe potuto scegliere di meglio. La narrazione si
sposa con lo stile di Paolo molto carico di ironia, racconta un po’ il dramma
con un occhio ironico.
In fin dei conti, non ha girato le spalle a questa
forma di narrazione, il romanzo è pieno di citazioni del fumetto, il mondo da
cui provengo.
È stato
difficile gestire contemporaneamente così tanti personaggi, ognuno con le
proprie peculiarità e saper intrecciare le loro storie?
Scrivere un romanzo corale è sempre una sfida
difficile. Sapevo che mi stavo infilando in qualcosa di molto grande e
difficile da gestire: dovevo immaginare davvero tutta la vita, giorno dopo
giorno, lavorare sui nomi e sui soprannomi. Ho usato lo stratagemma dei
soprannomi (davvero usato nel mondo dei senzatetto) per destreggiarmi nella
quantità: appena un personaggio entrava in scena lo caratterizzavo con un
tratto che veniva ripreso dal soprannome. In questo modo la fatica è stata
certamente minore e ogni personaggio è risultato completo e a tutto tondo.
Qual è il
suo preferito? Personalmente ho adorato Zagor: nel suo micromondo era colui che
più di tutti sapeva alleggerire l’atmosfera.
Il Generale,
ma anche io amo Zagor. Non era nella
scaletta, ma appena ho iniziato a scrivere di lui, ha preso un ruolo. Senza di
lui, non si può andare avanti. È un personaggio che cresce, che ha preso subito
vita, ha creato un suo spazio e ha iniziato a muoversi.
Qual è
stato il passaggio più impegnativo da scrivere?
Per scrivere questo romanzo ho dovuto documentarmi
su due mondi che non conoscevo: il mondo dei senzatetto a Milano e il mondo di
chi ha tantissimi soldi. Ho visitato associazioni, chiesto e giornalisti… sia
nel primo che nel secondo caso. Raccontare mondi che esistono richiede molta
fatica, non solo durante la raccolta delle informazioni, ma soprattutto dopo
perché quando si ha capito tutto bisogna sforzarsi di non fare la lezioncina. Soprattutto, non bisogna ficcarci
dentro tante cose: ci si deve documentare molto, ma usare solo le informazioni
essenziali.
Come è
nata questa idea?
Ho voluto scrivere un certo tipo di storia: mi
sono ispirato alla tradizione della commedia dell’arte, volevo raccontare in
una chiave divertente la crisi e la miseria. Non credevo che mi sarei spinto
così in fondo. Da questa idea di base, un tema non una storia, è nato questo
spunto. Parlando con l’editor, ho messo giù la scaletto, mi sono poi
documentato ed è nato il romanzo La vita
in generale.
Si può
dire senza ombra di dubbio che questo libro va oltre le apparenze. Ha avuto il
coraggio di vedere e poi scrivere ciò che molta gente preferisce credere che
non esista. In una società dove l’aspetto esteriore conta più di tutto (citando
Ripetti “I personaggi sono meglio delle
persone e lui vorrebbe essere il personaggio di una storia”), come crede
che possa inserirsi questo libro?
Mi sono ispirato al realismo di Dickens che, con
ironia e ridendo ha descritto la miserie e la sofferenza. Il lettore guarda
dove non vuole guardare, con umanità e leggerezza ma anche con serietà. Ho voluto
raccontare due miserie di una realtà che esistono: la miseria esteriore e la miserie
interiore. Ripetti, nello specifico, non riesce ad avere una sua realtà, non è
capace di avere una vita interiore, quindi immagina storie e personaggi, una
realtà parallela per lui che non è capace di vivere nel mondo.
Quindi, ringrazio Tito per la bellissima
intervista :)
Sperando di avervi incuriosito, vi invito a
leggere un libro e fare un salto in quel mondo invisibile che è stato descritto
così bene!
Un abbraccio e buona lettura :)
Robi
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