domenica 2 agosto 2015

Recensione: La vita in generale


Ciao amiche!
Oggi vi parliamo di un libro molto interessante, pubblicato da Feltrinelli. Devo dire che è stata proprio una bella sorpresa perché, come potrete vedere, non solo si tratta di un libro diverso, ma abbiamo anche avuto l’opportunità di intervistare l’autore.
Quindi, mettetevi comodi comodi e preparatevi a leggere…

·      Titolo: La vita in generale
·      Autore: Tito Faraci
·      Casa Editrice: Feltrinelli
·      Pagine: 208
·      Da acquistare sì o no? Il Generale vi conquisterà… e se non lo farà lui, sarà Zagor!



·      Voto: 8


Voto copertina:

“Allora come va?” chiede poi lei, tanto per dire.
“Come cosa va?” ribatte lui.
“La vita… la vita in generale”.
“La mia vita, in generale, è che vivo. O che sono vivo, come preferisci. Tutto qui. Eppure non è poco. Anzi, è molto più di quanto la gente normale immagini. Vivere è già un successo, una soddisfazione. Riuscire a mangiare ogni giorno. Riuscire a trovare un posto dove dormire, la notte, e svegliarsi tutti interi, il mattino dopo”.

Mario Castelli è chiamato da tutti il Generale, un soprannome che gli è stato dato al liceo dal suo amico Seba e che non è mai riuscito a togliersi, capace di durare nel tempo.
Con piglio sicuro il Generale dirige il suo nuovo mondo: quello degli invisibili.
È un clochard, un senzatetto, un barbone.
Vive ancora a Milano, ma nessuno si accorge di lui. La gente lo guarda senza vedere veramente e all’apparenza sembra dimenticato da tutti.
Eppure non è così. Una bellissima ragazza bionda, laureata in economia alla Bocconi, lo sta cercando disperatamente, visitando ogni rifugio. Dice ai responsabili di essere sua figlia, quando non è così, ma poco importa. Lei lo vuole ritrovare. Lei lo deve ritrovare. Ha un disperato bisogno del suo aiuto. Cosa potrebbe volere da un invisibile?
Beh… è qui che ci si sbaglia.
Il Generale non ha sempre fatto parte di quel mondo: prima anche lui era ben visibile a tutti. Bisogna fare un salto indietro, tornare negli anni che precedono il boom economico degli anni Ottanta: Milano non è solo un grande polo della moda, è soprattutto un polo industriale. È in questo contesto che si muove un giovane Generale, costretto, dopo la morte del padre, ad abbandonare la Bocconi per l’azienda di famiglia. Partendo dal basso, ovviamente, e iniziando a conoscere la fabbrica partendo dai suoi operai per poi raggiungere, un anno dopo, la direzione dell’azienda.
Passo dopo passo. Gradino dopo gradino.
Il Generale ama la sua fabbrica e desidera solo il meglio e, sapendo di non poter competere con altri in campo finanziario, decide di assumere il fidato amico Seba, che l’ha supportato durante tutto il percorso con consigli e chiacchiere. Con il passare degli anni, la sua lungimiranza viene sempre più riconosciuta fino a che non succede la catastrofe.
La bancarotta. Il divorzio. La prigione.
Il Generale vive per strada, dimenticato da tutti. Ma non da Rita.
Perché lei ha bisogno di lui: figlia della sua fidanzatina del liceo, anche lei ha una fabbrica da mandare avanti.
E potrebbe non riuscirci senza l’aiuto del Generale…


La prima cosa che si nota del libro è la copertina. Un disegno insolito, ma interessante che raffigura Rita e il Generale. Concorda con questa scelta o avrebbe preferito la raffigurazione di una realtà urbana, forse attraverso una foto?

Non avrei potuto scegliere di meglio, è stata davvero una bellissima sorpresa. È opera di Paolo Baciglieri, collega del mondo dei fumetti. La copertina è stata realizzata prima che il romanzo fosse finito, si è basato su una sinossi e sulla conoscenza personale. Prima di scrivere la scena e ha condizionato, scrivere la scena… è venuto un po’ il contrario. Di solito prima l’autore scrive il romanzo, poi l’addetto alla copertina sceglie di raffigurare una scena che gli è rimasta impressa. Invece in questo caso è avvenuto l’opposto e mi ha aiutato a scrivere quella scena, è stato di grandissimo aiuto. Non avrebbe potuto scegliere di meglio. La narrazione si sposa con lo stile di Paolo molto carico di ironia, racconta un po’ il dramma con un occhio ironico.
In fin dei conti, non ha girato le spalle a questa forma di narrazione, il romanzo è pieno di citazioni del fumetto, il mondo da cui provengo.

È stato difficile gestire contemporaneamente così tanti personaggi, ognuno con le proprie peculiarità e saper intrecciare le loro storie?

Scrivere un romanzo corale è sempre una sfida difficile. Sapevo che mi stavo infilando in qualcosa di molto grande e difficile da gestire: dovevo immaginare davvero tutta la vita, giorno dopo giorno, lavorare sui nomi e sui soprannomi. Ho usato lo stratagemma dei soprannomi (davvero usato nel mondo dei senzatetto) per destreggiarmi nella quantità: appena un personaggio entrava in scena lo caratterizzavo con un tratto che veniva ripreso dal soprannome. In questo modo la fatica è stata certamente minore e ogni personaggio è risultato completo e a tutto tondo.

Qual è il suo preferito? Personalmente ho adorato Zagor: nel suo micromondo era colui che più di tutti sapeva alleggerire l’atmosfera.

Il Generale, ma anche io amo Zagor. Non era nella scaletta, ma appena ho iniziato a scrivere di lui, ha preso un ruolo. Senza di lui, non si può andare avanti. È un personaggio che cresce, che ha preso subito vita, ha creato un suo spazio e ha iniziato a muoversi.

Qual è stato il passaggio più impegnativo da scrivere?

Per scrivere questo romanzo ho dovuto documentarmi su due mondi che non conoscevo: il mondo dei senzatetto a Milano e il mondo di chi ha tantissimi soldi. Ho visitato associazioni, chiesto e giornalisti… sia nel primo che nel secondo caso. Raccontare mondi che esistono richiede molta fatica, non solo durante la raccolta delle informazioni, ma soprattutto dopo perché quando si ha capito tutto bisogna sforzarsi di non fare la lezioncina. Soprattutto, non bisogna ficcarci dentro tante cose: ci si deve documentare molto, ma usare solo le informazioni essenziali.

Come è nata questa idea?

Ho voluto scrivere un certo tipo di storia: mi sono ispirato alla tradizione della commedia dell’arte, volevo raccontare in una chiave divertente la crisi e la miseria. Non credevo che mi sarei spinto così in fondo. Da questa idea di base, un tema non una storia, è nato questo spunto. Parlando con l’editor, ho messo giù la scaletto, mi sono poi documentato ed è nato il romanzo La vita in generale.

Si può dire senza ombra di dubbio che questo libro va oltre le apparenze. Ha avuto il coraggio di vedere e poi scrivere ciò che molta gente preferisce credere che non esista. In una società dove l’aspetto esteriore conta più di tutto (citando Ripetti “I personaggi sono meglio delle persone e lui vorrebbe essere il personaggio di una storia”), come crede che possa inserirsi questo libro?

Mi sono ispirato al realismo di Dickens che, con ironia e ridendo ha descritto la miserie e la sofferenza. Il lettore guarda dove non vuole guardare, con umanità e leggerezza ma anche con serietà. Ho voluto raccontare due miserie di una realtà che esistono: la miseria esteriore e la miserie interiore. Ripetti, nello specifico, non riesce ad avere una sua realtà, non è capace di avere una vita interiore, quindi immagina storie e personaggi, una realtà parallela per lui che non è capace di vivere nel mondo.

Quindi, ringrazio Tito per la bellissima intervista :)
Sperando di avervi incuriosito, vi invito a leggere un libro e fare un salto in quel mondo invisibile che è stato descritto così bene!
Un abbraccio e buona lettura :)

Robi

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