giovedì 11 giugno 2015

Recensione: Un giorno della mia vita


Hello everybody :)
Rieccoci di nuovo insieme per un nuovo appuntamento con la rubrica #gliintramontabili. Quello di oggi è un libro un po particolare, diverso dal solito e che forse non a tutti intrigherà ma se credete nella massima ciceroniana “Historia magistra vitae” come la sottoscritta vedrete che questo libro non vi dispiacerà ;)



Il libro che andrete a leggere è fatto di pagine piene di sofferenza e di dolore, di determinazione, coraggio e fede, che tramandano la storia di Robert Gerard “Bobby” Sands e di quanti , come lui, hanno combattuto per difendere il diritto divino della nazione irlandese all’indipendenza sovrana dall’ establishment inglese. Quest’uomo ha incarnato la più alta forma di amore che un uomo possa nutrire per la sua patria: la volontà di morire per essa e per tutti i suoi connazionali, onorandola e servendola fino allo stremo delle sue forze. Bobby infatti, nato a Belfast nel 1954 e militante dell’IRA (Irish Republican Army) dagli anni ’70, fu recluso nel 1977 nel carcere di Long Kesh, nell’Irlanda del Nord, famoso a causa dei terribili “Blocchi-H” da cui era composto, e per tutto il periodo della sua detenzione, conclusasi nell’ 81 con la sua morte combattè strenuamente per rimanere saldo nei suoi principi e non tradire il suo popolo e la sua terra natale. La testimonianza che Bobby ci ha lasciato è il racconto di un uomo distrutto nel corpo e nella dignità che tuttavia non si è lasciato sopraffare dalla volontà disumanizzatrice dei suoi carcerieri e che, come l’allodola di cui tanto amava il canto, è morto da uomo libero.


“Sono stato privato dei miei vestiti e rinchiuso in una cella fetida e vuota, dove mi hanno fatto patire la fame, picchiato e torturato. Come l’allodola, anch’io ho paura che alla fine possano uccidermi. Ma, oso dirlo, allo stesso modo della mia piccola amica possiedo lo spirito di libertà, che non può essere soppresso neppure con il più orrendo dei maltrattamenti. Certamente posso essere ucciso, ma, fintantoché rimango vivo, resto quel che sono, un prigioniero politico di guerra, e nessuno può cambiare questo.”


La vita nel carcere non è stata affatto facile, le dure condizioni in cui i prigionieri versavano e la barbarie dei secondini di Long Kesh hanno provato i detenuti nel corpo e nello spirito, ma essi hanno sempre trovato la forza di sopravvivere grazie alle notizie che giungevano loro dal mondo esterno, dalla conferma che fuori da quei bracci infernali il loro popolo li sosteneva e combatteva con loro per la libertà; nel canto essi trovavano pace e conforto e la tenacia che li muoveva li spingeva a tener duro, a non soccombere, a sperare e ad immaginare il giorno in cui finalmente i loro figli avrebbero avuto la rivincita sul governo inglese.

“Io ho tanta speranza, davvero. Bisogna sempre sperare e non perdersi mai d'animo. E la mia speranza sta nella vittoria finale della mia povera gente. Ci può essere una speranza più grande di questa?”

Bobby e i suoi compagni hanno resistito nel carcere per vedersi riconosciuti dei diritti fondamentali:

  •        Poter indossare i propri abiti
  •        Essere esentati dal lavoro nel carcere
  •        Potersi associare con gli altri prigionieri durante lo svago concessogli
  •        Poter ricevere visite e pacchi dai parenti una volta alla settimana
  •        Vedersi ridotta la pena

Diritti che non vennero mai loro pienamente riconosciuti e che spinsero Bobby e altri suoi compagni a dare inizio a diversi scioperi e proteste, da quello di non indossare le uniformi del carcere a quello della fame, che causò la morte di ben 22 prigionieri, tra cui lo stesso Bobby.
Questa storia mi ha molto coinvolta e toccata perché ho sempre pensato che leggere di storie vere e realmente accadute mi aiuti a comprendere meglio il mio oggi e a poter di conseguenza impegnarmi, nel mio piccolo, per costruire un futuro migliore. Perché sono convinta che il futuro sia nelle nostre mani, che possiamo scegliere di essere chi vogliamo essere e come esserlo, che esempi come quello di Bobby e dei suoi compagni non debbano cadere nel dimenticatoio ma anzi siano resi noti e tramandati perché portino frutto.

“Ho sempre tratto insegnamento da quello che mi disse un uomo saggio, e che cioè tutti devono fare la loro parte. Nessuna parte è troppo grande o troppo piccola, nessuno è troppo vecchio o troppo giovane per fare qualcosa.”


Vorrei concludere, sperando di avervi invogliato almeno un poco a leggere questo volume, citando una delle parti che più mi ha colpito e che Bobby stesso annotò nel suo diario il 12 Marzo 1981, durante lo sciopero della fame.

“La prostrazione lentamente avanza e se il cuore è attivo il corpo invece vuol fare il pigro. Così ho deciso di concentrare tutte le mie energie e i miei pensieri per rafforzare la mia determinazione. E’ questa la cosa più importante. Nient’altro sembra avere valore tranne il pensiero fisso, insistente, ammonitore: “Non cedere mai!”. Non importa quanto sia orribile, nero, doloroso, straziante, non cedere mai, non disperarti, non abbandonare la speranza. Lascia che i bastardi ridano di te quanto vogliono, sghignazzino e beffeggino, lascia che persistano con le loro umiliazioni, brutalità, degradazioni, vendette, aggressività meschina, lascia che ridano, perché tutto ciò ora non ha più importanza e non merita risposta. Questa è la mia ultima risposta a tutta l’atrocità umana che chiamano Blocchi H. Ma al contrario delle loro risate di scherno le nostre saranno risate di gioia per la vittoria del popolo; la nostra vendetta sarà la liberazione di tutti e la sconfitta finale degli oppressori della nostra vecchia patria.”

Ci vediamo al prossimo appuntamento cari amici lettori, dubaaai :)
                                                                                                                                                                                                                 Sara

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