martedì 16 febbraio 2016

Recensione: La pianista di Auschwitz


Bentornati lettori in un altro appuntamento di #newsdaleggere
Siete pronti a scoprire un libro che solo il mese scorso è approdato nelle librerie italiane? Oggi vi parliamo di...



Voto copertina:


Hanna è una ragazza di quindici anni, la sua passione è suonare il pianoforte e sogna un giorno di diventare una pianista vera, di esibirsi nei teatri.
Hanna è anche una ebrea che vive, insieme alla sua famiglia, in un ghetto, almeno fino al giorno in cui i nazisti arrivano a portarli via per trasferirli ad Auschwitz-Birkenau. Qui Hanna, separata dal papà e con la mamma sempre più preda della pazzia, si ritrova a dover lottare per sopravvivere insieme alla sorella, Erika. La sua permanenza al campo di sterminio è, tuttavia, destinata a cambiare il giorno in cui le viene assegnato un nuovo compito: Hanna sarà la pianista personale del comandante del lager.
È durante il suo lavoro che Hanna conosce il giovane Karl, figlio del comandante, che si rivela rinnegare, inaspettatamente, l’operato del padre.
Inizialmente, Hanna non riesce a sopportare il ragazzo che sembra trattarla con sdegno; in seguito, però, i due si avvicineranno, fino alla nascita tra loro di un forte e inaspettato sentimento.


L’idea da cui prende vita il romanzo non è forse tra le più originali, di amori contrastati è zeppa la storia della letteratura. Tuttavia, e sebbene io non sia solita leggere libri che riguardino l’olocausto, in qualche modo la trama mi ha incuriosita.
Il libro parte, a mio parere, molto bene. Tutta la parte iniziale in cui Hanna e la sua famiglia vengono prelevati con l’inganno dalla loro casa e portati ad Auschwitz rende veramente l’idea delle sofferenze e dei terribili maltrattamenti subiti dagli ebrei ad opera dei nazisti. Il fatto poi che la famiglia non si renda veramente conto, o forse semplicemente menta a se stessa, di quello che sta per accadere, rende le prime pagine ancora più strazianti.
Non c’è dubbio sul fatto che questo libro tenga incollati alla pagina. Dal momento in cui Hanna fa il provino per diventare la pianista del comandante fino alla fine, l’autrice è stata in grado di tenere il lettore sulle spine, invogliandolo a scoprire cosa viene dopo.
Credo, tuttavia, che a un certo punto la scrittrice si sia un po’ persa. Nel tentativo di parlare dell’impossibilità della storia d’amore tra i due giovani, dimentica di parlare del campo di sterminio o, quando lo fa, la questione è lasciata in secondo piano. Quello che succede alla sorella di Hanna lo intuiamo dai pochi dialoghi che intercorrono tra le due. Tutta la parte della detenzione nel campo, della liberazione del campo stesso da parte dei russi, scorre troppo veloce, è lasciata troppo all’immaginazione dei lettori piuttosto che alle parole e, difatti, il libro conta solo centosessanta pagine. A mio parere, l’autrice avrebbe dovuto soffermarsi un po’ di più sull’ambientazione, essenziale al fine di rendere al meglio la drammaticità degli avvenimenti e della storia d’amore e anche per rendere il lettore emotivamente più coinvolto. Io, infatti, non sono riuscita a provare il senso dell’orrore che ho provato per altri libri con una simile ambientazione, o meglio, ci sono riuscita nelle prime pagine ma poi il tutto si è perso.
Ho apprezzato la scelta del finale aperto, mi piace come ha deciso di interrompere la storia, dando la possibilità a chi legge di scegliersi il suo finale.
Nel complesso il libro risulta una bella storia da leggere ma manca nel creare la giusta emozione che una trama simile dovrebbe suscitare.
Insomma, non aspettatevi un romanzo simile al Diario di Anna Frank.

Fede

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