domenica 27 dicembre 2015

Anteprima: Ricordati di sognare



Buongiorno amiche!
Per la rubrica #anteprime, oggi vi presenteremo un libro che ci ha incuriosito molto! La copertina italiana non è ancora disponibile, seguiteci sul blog oppure sulla pagina face book per avere delle notizie sul dettagliate :)
Di cosa sto parlando?

·         Titolo: Insegnami a sognare
·          Autore: Morgan Matson
·         Casa Editrice: Newton Compton
·         Pagine: 480
·         Data uscita: 11 febbraio 2016 

Trama:

Emily ha deciso di correre qualche rischio per trascorrere l’estate più travolgente della sua vita. Prima di Sloane, Emily non andava alle feste, parlava a malapena con i ragazzi, non aveva mai fatto niente di folle. Ma Sloane, un vero e proprio “tornado sociale”, è la migliore amica che si possa avere e l’ha tirata fuori dal suo guscio. Eppure, poco prima di quella che doveva essere un’estate epica, Sloane... scompare. Lascia solo un elenco di cose da fare: tredici bizzarri punti, come per esempio: Raccogliere mele durante la notte. Va bene, abbastanza facile. Ballare fino all’alba. Perché no? Baciare un estraneo. Che cosa?! Ma senza Sloane, Emily potrà farcela? Chissà cosa potrà succedere, con tutta un’estate davanti e l’inaspettato aiuto dell’affascinante Frank Porter...




Capitolo 1
 

La lista arrivò due settimane dopo che Sloane era partita.

Non ero a casa per riceverla, infatti mi trovavo a casa di Sloane, dove ero andata per l’ennesima volta, sperando con tutta me stessa di trovarla lì. Mentre guidavo verso casa sua, con l’iPod spento e le mani saldamente aggrappate al volante, decisi che se l’avessi trovata, non avrei nemmeno avuto bisogno di una spiegazione. Non sarebbe stato necessario che mi spiegasse perché da un momento all’altro aveva smesso di rispondere alle chiamate, agli sms e alle e-mail, o perché era svanita nel nulla, con i suoi genitori e la loro auto. Sapevo che era ridicolo pensarla così, come se stessi negoziando con un qualche spacciatore cosmico che mi potesse garantire questo patto, ma questa consapevolezza non mi fermava, mentre mi avvicinavo sempre di più a Randolph Farms Lane. Non mi importava quello che avrei dovuto promettere, se significava che Sloane ci sarebbe stata. Perché se avessi trovato Sloane, tutto avrebbe ricominciato ad avere senso.

Non esageravo se dicevo che le ultime due settimane erano state le peggiori della mia vita. I miei genitori mi avevano trascinato a nord del Pese, contro la mia volontà e nonostante le mie proteste. Quando ero tornata a Stanwich, dopo fin troppi negozi di antiquariato e gallerie d’arte, l’avevo chiamata immediatamente, chiavi dell’auto in mano, aspettando impazientemente che lei mi rispondesse e che mi dicesse dove fosse, o, nel caso in cui si trovasse a casa, che potevo andare a prenderla. Ma Sloane non rispose al telefono, e non rispose quando provai a richiamarla un’ora dopo, o più tardi quella sera, o prima di andare a dormire.

Il giorno dopo guidai fino a casa sua solo per vedere che la macchina dei suoi non c’era più e che le serrande erano abbassate. Lei continuava a non rispondere ai messaggi e nemmeno alle chiamate, che venivano trasferite direttamente alla segreteria telefonica, ma non ero preoccupata, non ancora. Succedeva spesso che Sloane lasciasse scaricare completamente la batteria del telefono, fino a che questo non si spegneva, e sembrava che non sapesse mai dove fosse il caricabatteria. E i suoi genitori, Milly e Anderson, avevano l’abitudine di dimenticarsi di comunicarle i loro piani per le vacanze. La portavano in posti come Palm Beach o Nantucket, e Sloane tornava qualche giorno dopo, abbronzata, con un regalo per me e molte storie da raccontare. Ero sicura che sarebbe andata così anche quella volta.

Ma dopo tre giorni e ancora nessuna risposta, mi preoccupai. Dopo cinque giorni, mi feci prendere dal panico. Quando non riuscii più a sopportare di stare a casa mia a fissare il telefono sperando che squillasse, cominciai a guidare per la città, ad andare in tutti i nostri posti, riuscendo sempre ad immaginarla lì, fino a che non ci arrivavo e non la trovavo. Non era sdraiata al sole su un tavolo da picnic all’Orchard, né a dare una scorsa agli sconti del TwiceUpon a Time, né stava finendo la sua fetta di pizza all’ananas al Capitan Pizza. Se n’era semplicemente andata.

Non avevo idea di cosa fare. Era raro, per noi, non vederci quotidianamente, e parlavamo e ci scambiavamo messaggi costantemente, senza argomenti tabù o off-limits, perfino scambi come: “Penso di sembrare Amish con la mia nuova gonna, mi prometti che se è così me lo dici?” (Io), e: “Hai notato che è da un po’ di tempo che nessuno vede il mostro di LochNess?” (Lei). Nei due anni in cui eravamo state migliori amiche, avevo condiviso con lei quasi tutti i miei pensieri e le mie esperienze, e l’improvviso silenzio era assordante. Non sapevo cosa fare se non continuare a inviarle messaggi e provare a trovarla. Continuavo ad allungare il braccio verso il telefono per dire a Sloane che stavo avendo difficoltà a gestire il fatto che non stava rispondendo.

Inspirai e trattenni il fiato mentre entravo nel suo vialetto, nello stesso modo in cui facevo da piccola quando dovevo aprire il mio ultimo regalo di compleanno, sperando che si trattasse di quella cosa che ancora non avevo, l’unica cosa che desideravo.

Ma il vialetto era vuoto, e tutte le serrande abbassate. Accostai lo stesso di fronte alla sua casa, parcheggiai e spensi al motore. Mi stravaccai sul sedile, combattendo per ingoiare il nodo che mi si era formato in gola. Non sapevo più cosa fare, dove altro cercare. Ma Sloane non poteva essersene andata. Non sarebbe mai partita senza dirmelo.

Ma allora dov’era?

Quando sentii di essere sull’orlo delle lacrime, uscii dall’auto e osservai la casa strizzando gli occhi per via del sole del mattino. Il fatto che fosse vuota così presto era davvero l’unica prova di cui avevo bisogno, dal momento in cui sapevo che Milly e Andreson non si svegliavano mai prima delle dieci. Pur sapendo che probabilmente non aveva senso, attraversai il vialetto fino alla casa, e camminai sui larghi gradini di pietra coperti da estive foglie verde brillante. Ce n’erano talmente tante che dovevo spostarle a calci, e sapevo, nel profondo, che era una prova in più del fatto che in casa non c’era nessuno da un po’. Ma camminai verso la porta frontale, con i battenti in rame a forma di testa di leone, e bussai comunque, come avevo fatto già altre cinque volte solo quella settimana. Aspettai, provando a sbirciare dal vetro sul lato della porta, con ancora un barlume di speranza che in un secondo, da un momento all’altro, avrei sentito i passi di Sloane correre verso l’entrata, lanciarsi ad aprire la porta, strattonarmi in un abbraccio e cominciare a parlare a un chilometro al minuto. Ma l’abitazione era silenziosa, e tutto quello che riuscivo a scorgere attraverso il vetro era la placca che indicava la rilevanza storica della casa, quella che la proclamava “uno dei tesori architettonici di Stanwich”, quella che sembrava sempre coperta di ombre di impronte.

Aspettai ancora qualche minuto, per ogni eventualità, poi mi voltai e mi abbassai, sedendomi sul gradino più alto, provando duramente a non cedere ad un esaurimento nervoso in mezzo alle foglie.

Esisteva una parte di me che stava ancora sperando di scoprire che tutta la situazione era solo un incubo molto realistico, e che da un momento all’altro mi sarei svegliata, e Sloane sarebbe stata lì, dall’altra parte del telefono dove dovrebbe essere, a pianificare la nostra giornata.

La casa di Sloane era in quello che era sempre stato noto come “zona isolata”, in cui le case diventavano sempre più grandi e più lontane tra loro, in un pezzo di terra sempre più grande. Distava quindici chilometri da casa mia che, quando ero all’apice della mia forma fisica, erano facili da percorrere correndo. Ma nonostante abitassimo poco distanti, i nostri vicinati non avrebbero potuto essere più diversi tra loro. A casa sua le auto passavano solo occasionalmente, e il silenzio sembrava sottolineare il fatto che ero completamente da sola, che non c’era nessuno in casa e, molto probabilmente nessuno sarebbe tornato. Mi sporsi in avanti, lasciando cadere i capelli davanti a me come una tenda. Il fatto che non ci fosse nessuno significava che almeno potevo rimanere per un po’, e che nessuno mi avrebbe chiesto di andarmene. Probabilmente avrei potuto restare per tutto il giorno. Onestamente, non avrei proprio saputo che cos’altro fare.

Sentii il basso rombo di un motore e alzai lo sguardo, velocemente, togliendomi i capelli dal viso, avvertendo ancora una volta un bagliore di speranza nel mio petto. Ma l’auto che entrava lentamente nel viale non era la BMW leggermente ammaccata degli Anderson. Era un pick-up giallo, sul retro del quale erano ammucchiati tagliaerba e rastrelli. Quando accostò di fronte ai gradini, riuscii a leggere la scritta sul lato, in corsivo stilizzato. Progettazione di Giardini di Stanwich, diceva. Semina… giardinaggio… mantenimento… e molto, molto altro!Sloane adorava quando i negozi avevano nomi o slogan dozzinali. Non che lei fosse una grande fan dei giochi di parole, ma diceva sempre che le piaceva immaginarsi i proprietari mentre li inventavano, e quanto erano soddisfatti di se stessi dopo aver trovato una qualsivoglia soluzione. Immediatamente, mi annotai mentalmente di raccontare a Sloane del motto, e poi, un secondo dopo, realizzai quanto fosse stupido.

Tre ragazzi scesero dal furgone e si diressero verso il suo retro, e due di loro cominciarono a tirare giù l’attrezzatura. Sembravano più vecchi di me, probabilmente erano al college, e mi immobilizzai, guardandoli. Sapevo che quella era un’opportunità per provare a ricavare qualche informazione, ma questo avrebbe significato parlare con quei ragazzi. Ero timida fin dalla nascita, ma negli ultimi due anni era stato diverso. Con Sloane al mio fianco, era come se improvvisamente avessi una rete di sicurezza. Era sempre capace di prendere in mano la situazione se lo volevo, e se non volevo, sapevo che lei sarebbe stata accanto a me, correndo in mio aiuto nel caso in cui fossi andata nel panico o se fossi stata sconvolta. E quando ero da sola, l’imbarazzo o il fallimento delle mie interazioni non sembravano contare poi così tanto, dal momento in cui sapevo che sarei riuscita a imbastire una storia sulla quale, in seguito, avremmo potuto ridere insieme. Senza di lei accanto a me, però, stava diventando sempre più evidente quanto io fossi terribile a gestire situazioni come questa da sola.
 
 

“Ehi.” Sobbalzai, accorgendomi che uno dei giardinieri si stava rivolgendo a me. Mi stava guardando, riparandosi gli occhi dal sole, mentre gli altri due sollevavano un tosaerba. “Vivi qui?”

Gli altri due ragazzi appoggiarono l’attrezzo al suolo, e realizzai che conoscevo uno li loro; era nella mia stessa classe di Inglese, l’anno prima, il che rendeva le cose ancora più difficili. “No”, dissi, e mi accorsi di quanto la mia voce suonasse stridula. Nelle ultime due settimane avevo detto solo le cose più superficiali ai miei genitori e al mio fratello minore, e le uniche conversazioni che avevo davvero avuto erano con la segreteria telefonica di Sloane. Mi schiarii la voce e riprovai. “Non vivo qui.”

Il ragazzo che mi aveva parlato alzò le sopracciglia, e io seppi che era il mio segnale d’azione. Ero, almeno nelle loro teste, un’intrusa, e probabilmente stavo intralciando il loro lavoro. Tutti e tre i ragazzi mi stavano fissando, aspettando chiaramente che me ne andassi. Ma se avessi lasciato la casa di Sloane, se avessi ceduto a questi sconosciuti in maglietta gialla, da chi avrei ottenuto più informazioni? Significava che stavo semplicemente accettando il fatto che se ne fosse andata?

Il ragazzo che mi aveva rivolto la parola incrociò le braccia al petto, guardandomi impaziente, e sapevo che non potevo rimanere seduta dov’ero. Se Sloane fosse stata con me, sarei stata capace di parlare con loro. Se ci fosse stata, probabilmente avrebbe già salvato due dei loro numeri di telefono e starebbe cercando di ottenere un giro sul tosaerba, e chiedendo di potervi tosare il suo nome. Ma se ci fosse stata Sloane, nulla di tutto ciò starebbe accadendo. Le mie guance si infiammarono non appena mi spinsi per alzarmi in piedi e scesi velocemente i gradoni, le infradito che mi facevano scivolare sulle foglie, ed io che mi raddrizzavo prima di inciampare, per evitare di rendere la situazione ancora più imbarazzante. Feci un cenno ai ragazzi, poi diedi un’occhiata alla strada mentre raggiungevo la mia auto.

In quel momento, in cui me ne stavo andando, si misero in azione, distribuendo attrezzi e discutendo su chi dovesse occuparsi di cosa. Afferrai la maniglia della portiera, ma non la aprii subito. Me ne sarei andata sul serio? Senza nemmeno tentare?

“Quindi,” dissi, ma non abbastanza forte, e infatti i ragazzi non mi prestarono attenzione, ma continuarono a parlare tra loro, due di loro litigando su chi dovesse fertilizzare il giardino, mentre il tizio del corso di Inglese dell’ultimo anno teneva in mano il suo berretto da baseball e piegava la fattura in una curva. “Quindi,” dissi, ma troppo forte questa volta, e i ragazzi smisero di parlare e mi guardarono di nuovo. Riuscivo a sentire le mie mani sudare, ma sapevo di dover andare avanti, che non mi sarei mai perdonata se mi fossi voltata e me ne fossi andata. “Mi stavo… ehm…” Feci un respiro profondo. “Una mia amica viveva qui, e la stavo cercando. Voi…” Improvvisamente mi resi conto, come se stessi guardando la scena in TV, di quanto probabilmente tutta la situazione fosse ridicola, chiedere ai giardinieri delle informazioni su dove si trovasse la mia migliore amica. “Voglio dire, vi hanno assunti per questo lavoro? I suoi genitori, voglio dire? Milly o Anderson Williams?” Nonostante stessi cercando di non farlo, mi stavo aggrappando a questa possibilità, trasformandola in qualcosa che potessi capire. Se gli Williams avevano assunto la Stanwich Giardinaggio, forse stavano semplicemente facendo una gita da qualche parte, lasciando che qualcuno si prendesse cura del giardino mentre non c’erano, in modo che non dovessero preoccuparsene loro. Era solo una lunga gita, ed erano andati in qualche posto in cui i telefoni non prendevano e non c’era servizio e-mail. Ecco tutto.

I ragazzi si guardarono l’un l’altro, e sembrava che nessuno dei nomi che avevo pronunciato accendesse loro unalampadina. “Mi spiace,” disse il ragazzo che mi aveva parlato per primo. “Noi riceviamo soltanto l’indirizzo. Non sappiamo nulla di quella roba.”

Annuii, sentendo di aver esaurito l’ultima riserva di speranza. Pensandoci su, il fatto che i giardinieri si trovassero a casa sua era in effetti un po’ nefasto, in quanto non avevo mai visto Anderson mostrare il più leggero interesse nei confronti del loro prato, nonostante il fatto che la Società Storica di Stanwich lo infastidisse per assumere qualcuno che stesse dietro alla proprietà.

Due dei ragazzi si erano avviati verso il lato della casa, e quello del mio corso di Inglese mi guardò, mentre si rimetteva il berretto da baseball. “Ehi, tu sei amica di Sloane Williams, giusto?”

“Sì,” dissi immediatamente. Era questa la mia identità a scuola, ma non mi era mai dispiaciuto, e non ero mai stata più felice che in quel momento di essere riconosciuta in quel modo. Magari lui sapeva qualcosa, o aveva sentito qualcosa. “In realtà è Sloane che sto cercando. Questa è casa sua, quindi…”

Il ragazzo annuì, poi alzò le spalle dispiaciuto. “Mi spiace, non ne so niente,” disse. “Spero che la trovi.” Non mi chiese quale fosse il mio nome, ed io non glielo dissi. Perché avrei dovuto?

“Grazie,” riuscii a dire, ma un secondo troppo tardi, in quanto lui aveva già raggiunto gli altri due. Guardai la casa ancora una volta, la casa che in qualche modo sembrava non appartenere più a Sloane, e realizzai che non mi restava altro da fare se non andarmene.

Non andai subito a casa; invece mi fermai in un bar a Stanwich, con l’ultimissima speranza di trovarvi una ragazza nell’angolo, i capelli raccolti in uno chignon disordinato sorretto da una mattina, che leggeva un romanzo inglese che usa le lineette al posto delle virgolette. Ma Sloane non c’era nemmeno là. E mentre tornavo all’auto, realizzai che se fosse stata in città, sarebbe stato impensabile che non mi richiamasse. Erano passate due settimane; c’era qualcosa che non andava.

Stranamente, questo pensiero mi tenne a galla fino a che non raggiunsi casa. Ogni mattina in cui partivo da casa mia, i miei genitori davano per scontato che avrei incontrato Sloane, e se mi chiedevano che programmi avessi, rispondevo vaga qualcosa rispetto a cercare lavoro. Ma sapevo che era arrivato il momento di dire loro che ero preoccupata; che avevo bisogno di sapere cosa stava succedendo. Dopotutto, forse loro sapevano qualcosa, anche se i miei e i suoi non erano così intimi. La prima volta che si incontrarono, Milly e Anderson erano venuti a prendere Sloane dopo che aveva dormito da me, con due ore di ritardo rispetto all’accordo. E dopo aver scambiato i convenevoli e aver salutato Sloane, mio padre aveva chiuso la porta, si era voltato verso mia madre, e aveva grugnito, “È stato come essere bloccati in un’opera di Gurney.” Non avevo capito cosa intendesse con questo commento, ma potevo dire dal suo tono di voce che non si trattava di un complimento. Ma anche se non erano amici, i miei avrebbero comunque potuto sapere qualcosa. O sarebbero stati capaci di scoprire qualcosa.                  

                                                                                              Traduzione a cura di Valentina Deguidi

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