Buona domenica!
Eccoci tornati con una traduzione, naturalmente made in AnniDiNuvole! Per supportare i nostri traduttori, non vi resta che cliccare la barretta blu diventando lettori fissi oppure venire a trovarci su Facebook e dimostrarci tutto il vostro affetto ;)
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Oggi vi parleremo del terzo libro della serie Ruin, in
libreria a gennaio, che si compone in questo modo:
- Ricordati di sognare (Recensione QUI)
- Ricordati di amare
- Ricordati di perdonare
Trama: Tutto quello che è nell’oscurità verrà riportato alla luce. Corro,
ma tutto ciò che facevo mi teneva solamente un passo in avanti rispetto al mio
passato. Ho cercato di ricominciare: un nuovo nome, una nuova identità. Ma non
puoi cambiare la tua anima. Un nuovo inizio all’università era ciò di cui avevo
bisogno. Per un po’ ha
funzionato. Ero l’anima della festa, una ragazza sicura di se stessa, ma
era una bugia. Quando i ragazzi mi baciavano – sentivo solo dolore. Quando mi
toccavano – sentivo solo la paura. Nel profondo, ogni ragazza vuole essere la Bella,
vuole trovare qualcuno che la consideri tutto il suo mondo. Ma volete sapere la verità? Ero la bestia. Per
quando volessi la redenzione, ero abbastanza intelligente da capire che non
l’avrei mai ottenuta.
Finchè nella mia vita non è entrato lui. Non ero pronta a
innamorarmi di qualcuno. Le mie cicatrici erano troppo profonde, le ferite
troppo dolorose. Mi ha offerto pace, sicurezza. Avrei dovuto sapere che si
trattava di un’altra bugia – avrei dovuto sapere che innamorarmi del mio
professore non era una buona idea. Ma ero impotente e non ce l’ho fatta. E lui
non è riuscito a prendermi. Perché quando l’oscurità alla fine mi ha raggiunto,
come avrebbe fato il destino, la situazione si è capovolta facendomi
sanguinare. Ma sono più forte di ciò che credevo. Sono più forte di quel che
pensi. Pensi di conoscere la mia storia, ma non è così – dopotutto, tutti hanno
degli scheletri nell’armadio – e non ho più paura di mostrare i miei.
PROLOGO
La speranza è essa stressa
una forma di felicità, la principale forma di felicità che questo mondo si può
permettere: ma, come tutti gli altri piaceri immoderatamente goduti, l’eccesso
di speranza deve essere espiato dal dolore.
Samuel Johnson
Lisa
“Dimmi che mi ami.” Gridò
lui con i pugni tesi. Era strafatto di pillole; che poi, era sempre strafatto
di pillole.
“Tay…” Mi inumidii le
labbra e provai a mantenere la calma. “…scendi.”
Tirò indietro la testa e
rise. “No, no, no, non ci penso proprio, non fino a che non me lo dici.” Si
spostò sul parapetto del ponte e si piegò, ridendo, ondeggiando e lasciando
cadere i piedi oltre il margine, facendolo sembrare un grande scherzo mentre
per poco non si uccideva.
Si girò velocemente, quasi
cadendo.
Io sobbalzai, e lui si voltò
a guardarmi, il volto sfigurato dalla rabbia. “Dillo.”
“Tay…”
“Dillo, dannazione! Di’ che
mi ami! Dillo! Dillo! Dillo! Dillo!” La sua voce era rauca a causa delle grida,
tanto che si colpì forte il petto.
Le cose non erano sempre
state così.
Prima pensavo che fossimo
innamorati.
Prima pensavo che la
nostra storia fosse semplicemente… passionale.
“Se non lo dici, salto,
Mel.” Il suo sorriso era crudele. “Vuoi davvero questo peso sulla coscienza per
tutto il resto della tua bella vita? Capisci almeno chi sono? Cosa ti
causerebbe la mia morte?” Rise ancora, mentre le lacrime gli rigavano le
guance. “Potrei essere perfino un dio per te, da quanto ti ho in pugno. Ti avrò
sempre in pugno.”
“Tay…” Feci un passo in
avanti, lo scalpiccio dei miei tacchi sul cemento. “Ti amo, ti amo tantissimo.
Adesso per favore scendi.”
“Ho sempre saputo che
questo momento sarebbe arrivato.” Si immobilizzò, il vento mosse i suoi scuri
capelli ondulati.
“Il momento in cui non
sarei più stato capace di controllare tutto questo, in cui tu avresti provato a
scappare da me,” Sogghignò. “Il momento in cui mi avresti mentito!”
Scossi la testa, mentre
nel petto mi saliva il panico. Era sempre stato melodrammatico, dispotico,
fottutamente pazzo, ma recentemente aveva minacciato di suicidarsi più e più
volte. Il mese prima ci era quasi riuscito.
“Taylor, per piacere,
tesoro. Ti amo. Non posso vivere senza di te!” Sollevai le mai. “Vieni giù dal
parapetto.”
Lui tirò indietro la testa
e rise, quasi perdendo l’equilibrio. “È esilarante il modo in cui riesco a
controllarti. Ti rovinerò la vita, lo sai, vero?”
“Taylor!” gridai. “Non è
divertente! Non è un gioco. Vieni giù!”
Fece una piccola danza sul
parapetto e rise più forte. “Ho pensato a tutto, sai… Tutti lo scopriranno. L’ho
lasciato scritto. È stato fin troppo facile… troppo facile prenderti, ma tu mi
hai fatto provare delle emozioni, e io non volevo provarne, Mel. Non più. Fa
troppo male. Ma sai cosa? Tra un po’ non farà più male, e sarò felice di
perseguitarti per il resto della tua vita. Vedi, anche nella morte, la tua
anima è mia. Il tuo corpo è mio.”
Il suo sorriso era
crudele. Lottai contro l’urgenza di vomitare mentre ogni parola mi martellava
il cervello in quanto verità assoluta.
“Io ti ho in pugno,”
sospirò. “Un’ultima possibilità, Mel. Mi ami?”
La sua testa si inclinò
così tanto che pensai che avrebbe perso l’equilibrio.
In quel momento l’odio
vinse contro la paura. Ero così stanca di avere paura, così stanca di essere
controllata, così tanto stanca.
“No,” sussurrai. “Io ti
odio.”
Chiuse gli occhi e disse
sottovoce “Finalmente.” prima di gettarsi all’indietro, nel vuoto.
***
I pezzi della mia vita
stanno cadendo, lenti, dolorosi. Cadendo come la neve cade sul suolo. Pezzi
ghiacciati che si dissolvono nel nulla, come il suolo che risucchia l’acqua, e
il ciclo ricomincia.
Più neve cade.
Più acqua viene assorbita.
E dopo che la neve è
caduta.
Dopo che il terreno ne ha
bevuta a sazietà.
Tutto quello che ti resta
è un bellissimo paesaggio bianco; il tipo di bianco su cui, da bambino, non potevi
fare a meno di correre e giocare.
Mi immaginavo che la vita
fosse così, una fresca coperta di neve. Ero legatissima a mia madre, e ogni
volta che nevicava lei adorava farmi aspettare. Diceva che dovevo essere
paziente, che dovevo permettere al resto del mondo di vedere la bellezza della
neve.
Quindi aspettavo,
tamburellavo i piedi, aspettavo ancora, mi lamentavo e finalmente, ridendo, mi permetteva
di correre su quel tappeto bianco perfetto.
Un giorno, mamma mi fermò,
indicò la neve e disse, “Tesoro, questa è la tua vita, una tela bianca. Segui
il tuo destino, e sappi che ogni passo che farai sarà come un’impronta sulla
neve. Rinforza le tue impronte, in modo che conducano da qualche parte, in modo
che abbiano significato.”
Non avevo mai pensato
molto a lungo alle sue parole, ero piccola. Tutto ciò che mi importava erano
gli angeli nella neve. E quando crebbi, persi interesse nella neve. Mi
interessava l’oscurità, non la luce del bianco.
Mi lasciarono andare.
Mi lasciarono correre
nella direzione sbagliata.
Il che è buffo, perché è
proprio così che trovai lui.
Mi promise che avrebbe
camminato al mio fianco nell’oscurità, che mi avrebbe fatto divertire, che mi
sarebbe stato vicino. E io mi fidai.
Quindi, quando mi disse di
fare cose che non avrei dovuto… le feci e basta. Quando volevo tornare a
correre nella neve, quando mi sembrava di riprovare la stessa eccitazione dei
bambini, lui mi mostrava un qualcosa in più che mi trascinava dall’altra parte.
Mi trascinava.
Mi spingeva.
Fino a che non mi rimase
niente.
E alla fine scappai.
Scappai dall’oscurità e promisi a me stessa che avrei ricominciato.
Gabe, il mio migliore
amico, mi aiutò in questo. Feci tutto ciò che era in mio potere per aiutarlo a
salvarsi, perché alla fine, salvando lui, avrei salvato me stessa.
Sfortunatamente scappare,
provare a ricominciare da capo… alla fine quella speranza si sgretola a causa
del passato che torna a salutarti come il fuoco all’inferno.
Il mio passato venne a
bussarmi prima di quanto potessi immaginarmi.
Sotto forma di fantasma.
Una persona che non sapevo
neanche esistesse.
Una persona che conosceva
la mia vergogna.
Una persona di cui mi
innamorai.
Il mio professore
universitario.
Non alzate gli occhi al
cielo. Non sapete quanto ho sofferto. Non conoscete la mia storia. Non sapete
quanta speranza ho portato nel cuore, per anni. La speranza che un giorno sarei
stata diversa. Speranza che un giorno la persona a cui avevo deciso di dare il
mio cuore mi avrebbe vista bellissima e pura come la neve. Che non avrei
guardato l’oscurità e camminato nella direzione sbagliata.
“Tristan?” Tirai su col
naso. “Di’ qualcosa!”
“Vuoi che dica qualcosa?”
sogghignò. I suoi occhi blu avrebbero perfino potuto essere color piombo,
mentre attraversavano ogni centimetro del mio corpo.
“Bene.”
Dovetti sorreggermi,
dall’impatto.
“Ti odio.” Disse
lentamente, come per far sì che sentissi ogni parola e la affidassi alla mia
memoria. “Ti amo.”
“Cosa?” Le lacrime mi
bagnarono le labbra. “Cosa hai detto?”
“Entrambi.” Si mise le
mani sui fianchi. “Provo entrambi i sentimenti.”
Tentai un passo verso di
lui. “Quale vince, dei due?”
“Quello a cui dai più
potere,” disse con tono serio. “Quello a cui io scelgo di dare più potere.”
“L’amore?” Implorai,
supplicai, la voce roca.
Il sorriso di Tristan era
triste, mentre faceva un passo indietro e scuoteva la testa con decisione. “No,
tesoro. Mi spiace, ma no.”
Se ne andò.
La speranza che avevo nel
cuore morì.
Fissai il pavimento, gli
occhi chiusi, desiderando la neve, desiderando una seconda possibilità.
Desiderando di poter
tornare indietro e rifare le impronte nella neve, desiderando di non aver
scelto la morte.
Ma è questione di scelte;
non le rimpiangi fino a che non le hai compiute. Che sia solo un attimo dopo,
oppure un anno.
Il rimorso arriva sempre.
E voi state per conoscere
il mio…
CAPITOLO UNO
Semplice fatto su di
me: mi annoio facilmente, e lei era un bersaglio facile. Giovane, bellissima,
con gli occhi ardenti di una tentatrice. “Stupiscimi,” le dicevo, e lei rideva,
e faceva esattamente quello che le avevo chiesto. Al mio corpo piaceva, la mia
mente lo bramava. Scacciava i demoni meglio di qualunque droga, e io la adoravo
da pazzi, per questo. – Il Diario di Taylor B.
Lisa
Tornai di corsa al mio
dormitorio e per poco non sbattei contro la porta, prima che riuscissi ad
afferrarla. Odiavo dover scavare nella mia borsa alla ricerca della mia stupida
chiave magnetica; sembrava che ogni volta si nascondesse per almeno dieci minuti,
mentre tiravo fuori le altre chiavi, il portafoglio, le gomme da masticare, il
cellulare, quel piccolo, minuscolo portachiavi che non avevo ancora aggiunto
all’anello principale. Insomma, la lista andava avanti ancora e ancora. Alla
fine, ovviamente, realizzavo che avevo la chiave della stanza nella tasca
posteriore, quando ormai ero stata ferma di fronte alla dannata porta mentre
pioveva!
Il college, che schifo.
Feci le scale due scalini
alla volta e aprii la mia stanza.
“Sfigata!” mi disse Gabe
senza guardarmi, dal divano. “Hai lasciato di nuovo la porta aperta.”
“Ti ho dato la chiave.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Hai dato una chiave a
Saylor,” brontolò Gabe, “Io ho dovuto rubargliela, farne sette copie, e
rimetterla a posto.”
“Sette?” Appoggiai la
borsa sul tavolo e attraversai la minuscola cucina per prendermi una bottiglia
d’acqua dal frigo. “Come mai sette?”
“Una storiella divertente
sul matrimonio.” Gabe alzò il dito in aria, come per farmi sapere che stava per
fare un discorso serio. Anche se oramai sapevo che i suoi discorsi sfociavano
nell’inappropriato, nella maggior parte dei casi; per questo la paura si fece
spazio nel mio stomaco. “Saylor perde tutto. È come il sesso…” Fece una pausa.
“Il sesso con me, capiamoci, non con qualsiasi altro tizio, perché siamo
onesti, il sesso con me è semplicemente…”
“Gabe,” Sospirai, “Arriva
al punto.”
“Va bene.” Spense la TV e
si voltò a guardarmi.
Dio, era ancora strano
vederlo coi capelli biondi. Qualche mese fa la sua identità segreta era uscita allo scoperto. Ashton
Parker Hyde, pop star e attore, oggetto dei sogni di ogni adolescente, era
andato a nascondersi, e siccome io era la sua più cara amica, lo avevo seguito.
Le mie ragioni erano diverse dalle sue, ovviamente. Lui stava scappando da un
passato doloroso. Io stavo cercando di dimenticare il mio.
Eravamo entrambi stati
famosi, ma io ero una bambina modello piuttosto irrilevante. Lui era stato un
dio. No, davvero. Chiedete ai social media. Lo seguivano come pazzi. Penserete
che si era tinto i capelli di nuovo di nero per avere una pausa di tanto in
tanto, ma no; dal momento in cui qualcosa lo riguardava, Ashton restava lì,
anche se si faceva chiamare Gabe.
Ragionò
che sarebbe stato più facile per il suo professore, e per la sua novella sposa,
Saylor, la quale, a causa della sua identità segreta, per poco non lo aveva
castrato. Ma questa è un’altra storia. Scossi la testa, mi sbarazzai delle
ragnatele, e gli lanciai una delle mie bottiglie d’acqua. “Stavi dicendo?”
Sorrise,
e io dovetti distogliere lo sguardo. Era troppo bello, e odiavo il modo in cui
sia lui che Wes, un altro ragazzo di Lifetime Channel, fossero le due persone
più felici del pianete, mentre io vivevo da sola e ricevevo e-mail da uno
stalker che mi odiava.
“Si
dimentica tutto.” Alzò le spalle. “Quindi tengo sette copie di tutto.”
“Di
nuovo, perché sette?”
“Perché
è il numero della completezza.” Alzò gli occhi. “No?”
“C’è
una ragione per cui sei qui e non a casa tua? Con Saylor?”
Traduzione a cura di
Valentina Deguidi
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