domenica 29 novembre 2015

Anteprima: Ricordati di perdonare


Buona domenica!
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Oggi vi parleremo del terzo libro della serie Ruin, in libreria a gennaio, che si compone in questo modo:
  1. Ricordati di sognare (Recensione QUI)
  2. Ricordati di amare
  3. Ricordati di perdonare

TramaTutto quello che è nell’oscurità verrà riportato alla luce. Corro, ma tutto ciò che facevo mi teneva solamente un passo in avanti rispetto al mio passato. Ho cercato di ricominciare: un nuovo nome, una nuova identità. Ma non puoi cambiare la tua anima. Un nuovo inizio all’università era ciò di cui avevo bisogno. Per un po’ ha funzionato. Ero l’anima della festa, una ragazza sicura di se stessa, ma era una bugia. Quando i ragazzi mi baciavano – sentivo solo dolore. Quando mi toccavano – sentivo solo la paura. Nel profondo, ogni ragazza vuole essere la Bella, vuole trovare qualcuno che la consideri tutto il suo mondo. Ma volete sapere la verità? Ero la bestia. Per quando volessi la redenzione, ero abbastanza intelligente da capire che non l’avrei mai ottenuta.

Finchè nella mia vita non è entrato lui. Non ero pronta a innamorarmi di qualcuno. Le mie cicatrici erano troppo profonde, le ferite troppo dolorose. Mi ha offerto pace, sicurezza. Avrei dovuto sapere che si trattava di un’altra bugia – avrei dovuto sapere che innamorarmi del mio professore non era una buona idea. Ma ero impotente e non ce l’ho fatta. E lui non è riuscito a prendermi. Perché quando l’oscurità alla fine mi ha raggiunto, come avrebbe fato il destino, la situazione si è capovolta facendomi sanguinare. Ma sono più forte di ciò che credevo. Sono più forte di quel che pensi. Pensi di conoscere la mia storia, ma non è così – dopotutto, tutti hanno degli scheletri nell’armadio – e non ho più paura di mostrare i miei.



PROLOGO

La speranza è essa stressa una forma di felicità, la principale forma di felicità che questo mondo si può permettere: ma, come tutti gli altri piaceri immoderatamente goduti, l’eccesso di speranza deve essere espiato dal dolore.

Samuel Johnson

Lisa

“Dimmi che mi ami.” Gridò lui con i pugni tesi. Era strafatto di pillole; che poi, era sempre strafatto di pillole.
“Tay…” Mi inumidii le labbra e provai a mantenere la calma. “…scendi.”
Tirò indietro la testa e rise. “No, no, no, non ci penso proprio, non fino a che non me lo dici.” Si spostò sul parapetto del ponte e si piegò, ridendo, ondeggiando e lasciando cadere i piedi oltre il margine, facendolo sembrare un grande scherzo mentre per poco non si uccideva.
Si girò velocemente, quasi cadendo.
Io sobbalzai, e lui si voltò a guardarmi, il volto sfigurato dalla rabbia. “Dillo.”
“Tay…”
“Dillo, dannazione! Di’ che mi ami! Dillo! Dillo! Dillo! Dillo!” La sua voce era rauca a causa delle grida, tanto che si colpì forte il petto.
Le cose non erano sempre state così.
Prima pensavo che fossimo innamorati.
Prima pensavo che la nostra storia fosse semplicemente… passionale.
“Se non lo dici, salto, Mel.” Il suo sorriso era crudele. “Vuoi davvero questo peso sulla coscienza per tutto il resto della tua bella vita? Capisci almeno chi sono? Cosa ti causerebbe la mia morte?” Rise ancora, mentre le lacrime gli rigavano le guance. “Potrei essere perfino un dio per te, da quanto ti ho in pugno. Ti avrò sempre in pugno.”
“Tay…” Feci un passo in avanti, lo scalpiccio dei miei tacchi sul cemento. “Ti amo, ti amo tantissimo. Adesso per favore scendi.”
“Ho sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato.” Si immobilizzò, il vento mosse i suoi scuri capelli ondulati.
“Il momento in cui non sarei più stato capace di controllare tutto questo, in cui tu avresti provato a scappare da me,” Sogghignò. “Il momento in cui mi avresti mentito!”
Scossi la testa, mentre nel petto mi saliva il panico. Era sempre stato melodrammatico, dispotico, fottutamente pazzo, ma recentemente aveva minacciato di suicidarsi più e più volte. Il mese prima ci era quasi riuscito.
“Taylor, per piacere, tesoro. Ti amo. Non posso vivere senza di te!” Sollevai le mai. “Vieni giù dal parapetto.”
Lui tirò indietro la testa e rise, quasi perdendo l’equilibrio. “È esilarante il modo in cui riesco a controllarti. Ti rovinerò la vita, lo sai, vero?”
“Taylor!” gridai. “Non è divertente! Non è un gioco. Vieni giù!”
Fece una piccola danza sul parapetto e rise più forte. “Ho pensato a tutto, sai… Tutti lo scopriranno. L’ho lasciato scritto. È stato fin troppo facile… troppo facile prenderti, ma tu mi hai fatto provare delle emozioni, e io non volevo provarne, Mel. Non più. Fa troppo male. Ma sai cosa? Tra un po’ non farà più male, e sarò felice di perseguitarti per il resto della tua vita. Vedi, anche nella morte, la tua anima è mia. Il tuo corpo è mio.”
Il suo sorriso era crudele. Lottai contro l’urgenza di vomitare mentre ogni parola mi martellava il cervello in quanto verità assoluta.
“Io ti ho in pugno,” sospirò. “Un’ultima possibilità, Mel. Mi ami?”
La sua testa si inclinò così tanto che pensai che avrebbe perso l’equilibrio.
In quel momento l’odio vinse contro la paura. Ero così stanca di avere paura, così stanca di essere controllata, così tanto stanca.
“No,” sussurrai. “Io ti odio.”
Chiuse gli occhi e disse sottovoce “Finalmente.” prima di gettarsi all’indietro, nel vuoto.

***

I pezzi della mia vita stanno cadendo, lenti, dolorosi. Cadendo come la neve cade sul suolo. Pezzi ghiacciati che si dissolvono nel nulla, come il suolo che risucchia l’acqua, e il ciclo ricomincia.
Più neve cade.
Più acqua viene assorbita.
E dopo che la neve è caduta.
Dopo che il terreno ne ha bevuta a sazietà.
Tutto quello che ti resta è un bellissimo paesaggio bianco; il tipo di bianco su cui, da bambino, non potevi fare a meno di correre e giocare.
Mi immaginavo che la vita fosse così, una fresca coperta di neve. Ero legatissima a mia madre, e ogni volta che nevicava lei adorava farmi aspettare. Diceva che dovevo essere paziente, che dovevo permettere al resto del mondo di vedere la bellezza della neve.
Quindi aspettavo, tamburellavo i piedi, aspettavo ancora, mi lamentavo e finalmente, ridendo, mi permetteva di correre su quel tappeto bianco perfetto.
Un giorno, mamma mi fermò, indicò la neve e disse, “Tesoro, questa è la tua vita, una tela bianca. Segui il tuo destino, e sappi che ogni passo che farai sarà come un’impronta sulla neve. Rinforza le tue impronte, in modo che conducano da qualche parte, in modo che abbiano significato.”
Non avevo mai pensato molto a lungo alle sue parole, ero piccola. Tutto ciò che mi importava erano gli angeli nella neve. E quando crebbi, persi interesse nella neve. Mi interessava l’oscurità, non la luce del bianco.
Mi lasciarono andare.
Mi lasciarono correre nella direzione sbagliata.
Il che è buffo, perché è proprio così che trovai lui.
Mi promise che avrebbe camminato al mio fianco nell’oscurità, che mi avrebbe fatto divertire, che mi sarebbe stato vicino. E io mi fidai.
Quindi, quando mi disse di fare cose che non avrei dovuto… le feci e basta. Quando volevo tornare a correre nella neve, quando mi sembrava di riprovare la stessa eccitazione dei bambini, lui mi mostrava un qualcosa in più che mi trascinava dall’altra parte.
Mi trascinava.
Mi spingeva.
Fino a che non mi rimase niente.
E alla fine scappai. Scappai dall’oscurità e promisi a me stessa che avrei ricominciato.
Gabe, il mio migliore amico, mi aiutò in questo. Feci tutto ciò che era in mio potere per aiutarlo a salvarsi, perché alla fine, salvando lui, avrei salvato me stessa.
Sfortunatamente scappare, provare a ricominciare da capo… alla fine quella speranza si sgretola a causa del passato che torna a salutarti come il fuoco all’inferno.
Il mio passato venne a bussarmi prima di quanto potessi immaginarmi.
Sotto forma di fantasma.
Una persona che non sapevo neanche esistesse.
Una persona che conosceva la mia vergogna.
Una persona di cui mi innamorai.
Il mio professore universitario.
Non alzate gli occhi al cielo. Non sapete quanto ho sofferto. Non conoscete la mia storia. Non sapete quanta speranza ho portato nel cuore, per anni. La speranza che un giorno sarei stata diversa. Speranza che un giorno la persona a cui avevo deciso di dare il mio cuore mi avrebbe vista bellissima e pura come la neve. Che non avrei guardato l’oscurità e camminato nella direzione sbagliata.
“Tristan?” Tirai su col naso. “Di’ qualcosa!”
“Vuoi che dica qualcosa?” sogghignò. I suoi occhi blu avrebbero perfino potuto essere color piombo, mentre attraversavano ogni centimetro del mio corpo.
“Bene.”
Dovetti sorreggermi, dall’impatto.
“Ti odio.” Disse lentamente, come per far sì che sentissi ogni parola e la affidassi alla mia memoria. “Ti amo.”
“Cosa?” Le lacrime mi bagnarono le labbra. “Cosa hai detto?”
“Entrambi.” Si mise le mani sui fianchi. “Provo entrambi i sentimenti.”
Tentai un passo verso di lui. “Quale vince, dei due?”
“Quello a cui dai più potere,” disse con tono serio. “Quello a cui io scelgo di dare più potere.”
“L’amore?” Implorai, supplicai, la voce roca.
Il sorriso di Tristan era triste, mentre faceva un passo indietro e scuoteva la testa con decisione. “No, tesoro. Mi spiace, ma no.”
Se ne andò.
La speranza che avevo nel cuore morì.
Fissai il pavimento, gli occhi chiusi, desiderando la neve, desiderando una seconda possibilità.
Desiderando di poter tornare indietro e rifare le impronte nella neve, desiderando di non aver scelto la morte.
Ma è questione di scelte; non le rimpiangi fino a che non le hai compiute. Che sia solo un attimo dopo, oppure un anno.
Il rimorso arriva sempre.
E voi state per conoscere il mio…



CAPITOLO UNO

Semplice fatto su di me: mi annoio facilmente, e lei era un bersaglio facile. Giovane, bellissima, con gli occhi ardenti di una tentatrice. “Stupiscimi,” le dicevo, e lei rideva, e faceva esattamente quello che le avevo chiesto. Al mio corpo piaceva, la mia mente lo bramava. Scacciava i demoni meglio di qualunque droga, e io la adoravo da pazzi, per questo. – Il Diario di Taylor B.

Lisa

Tornai di corsa al mio dormitorio e per poco non sbattei contro la porta, prima che riuscissi ad afferrarla. Odiavo dover scavare nella mia borsa alla ricerca della mia stupida chiave magnetica; sembrava che ogni volta si nascondesse per almeno dieci minuti, mentre tiravo fuori le altre chiavi, il portafoglio, le gomme da masticare, il cellulare, quel piccolo, minuscolo portachiavi che non avevo ancora aggiunto all’anello principale. Insomma, la lista andava avanti ancora e ancora. Alla fine, ovviamente, realizzavo che avevo la chiave della stanza nella tasca posteriore, quando ormai ero stata ferma di fronte alla dannata porta mentre pioveva!
Il college, che schifo.
Feci le scale due scalini alla volta e aprii la mia stanza.
“Sfigata!” mi disse Gabe senza guardarmi, dal divano. “Hai lasciato di nuovo la porta aperta.”
“Ti ho dato la chiave.” Alzai gli occhi al cielo.
“Hai dato una chiave a Saylor,” brontolò Gabe, “Io ho dovuto rubargliela, farne sette copie, e rimetterla a posto.”
“Sette?” Appoggiai la borsa sul tavolo e attraversai la minuscola cucina per prendermi una bottiglia d’acqua dal frigo. “Come mai sette?”
“Una storiella divertente sul matrimonio.” Gabe alzò il dito in aria, come per farmi sapere che stava per fare un discorso serio. Anche se oramai sapevo che i suoi discorsi sfociavano nell’inappropriato, nella maggior parte dei casi; per questo la paura si fece spazio nel mio stomaco. “Saylor perde tutto. È come il sesso…” Fece una pausa. “Il sesso con me, capiamoci, non con qualsiasi altro tizio, perché siamo onesti, il sesso con me è semplicemente…”
“Gabe,” Sospirai, “Arriva al punto.”
“Va bene.” Spense la TV e si voltò a guardarmi.
Dio, era ancora strano vederlo coi capelli biondi. Qualche mese fa la sua identità segreta era uscita allo scoperto. Ashton Parker Hyde, pop star e attore, oggetto dei sogni di ogni adolescente, era andato a nascondersi, e siccome io era la sua più cara amica, lo avevo seguito. Le mie ragioni erano diverse dalle sue, ovviamente. Lui stava scappando da un passato doloroso. Io stavo cercando di dimenticare il mio.
Eravamo entrambi stati famosi, ma io ero una bambina modello piuttosto irrilevante. Lui era stato un dio. No, davvero. Chiedete ai social media. Lo seguivano come pazzi. Penserete che si era tinto i capelli di nuovo di nero per avere una pausa di tanto in tanto, ma no; dal momento in cui qualcosa lo riguardava, Ashton restava lì, anche se si faceva chiamare Gabe.
Ragionò che sarebbe stato più facile per il suo professore, e per la sua novella sposa, Saylor, la quale, a causa della sua identità segreta, per poco non lo aveva castrato. Ma questa è un’altra storia. Scossi la testa, mi sbarazzai delle ragnatele, e gli lanciai una delle mie bottiglie d’acqua. “Stavi dicendo?”
Sorrise, e io dovetti distogliere lo sguardo. Era troppo bello, e odiavo il modo in cui sia lui che Wes, un altro ragazzo di Lifetime Channel, fossero le due persone più felici del pianete, mentre io vivevo da sola e ricevevo e-mail da uno stalker che mi odiava.
“Si dimentica tutto.” Alzò le spalle. “Quindi tengo sette copie di tutto.”
“Di nuovo, perché sette?”
“Perché è il numero della completezza.” Alzò gli occhi. “No?”
“C’è una ragione per cui sei qui e non a casa tua? Con Saylor?”


Traduzione a cura di 
Valentina Deguidi


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